Le macchine nei reparti produttivi stanno ripartendo con rinnovato entusiasmo, ma il nostro atteggiamento è cambiato, abbiamo riflettuto e forse avremo più tempo per soffermarci a guardare le cose da una nuova prospettiva, per elaborare altre strategie di rilancio per le imprese, per ripensare al nostro habitat e a come rigenerare i luoghi atropizzati. Quali saranno i nuovi paradigmi del post Covid- 19?
Da vent’anni ormai, il mio lavoro giornalistico è preminente su quello legato alla professione da architetto, che pure si lega e mi rappresenta come tale per il percorso di studio compiuto che ha creato una precisa forma mentis portandomi a guardare ogni cosa con uno sguardo tecnico e filologico. Ho raccontato centinaia di aziende in questi quattro lustri solo dopo averle visitate davvero e aver guardato negli occhi i titolari, gli amministratori delegati, i direttori marketing, i responsabili di produzione, gli impiegati, i tecnici, cogliendone sempre – al di là della dimensione della realtà che rappresentavano – tutta la fierezza che deriva da “quel fare” che rende il tessuto produttivo italiano così ricco, creativo, geniale, variegato e unico, ogni volta un unicum! Io provo un grande rispetto, direi quasi amore – fra i suoi molteplici volti quello che assume quando insegue un sogno che con fatica e impegno realizza donandogli linfa ogni giorno – per queste imprese, che stanno attraversando la crisi più lunga e persistente della storia moderna. ogni volta un unicum! Io provo un grande rispetto, direi quasi amore – fra i suoi molteplici volti quello che assume quando insegue un sogno che con fatica e impegno realizza donandogli linfa ogni giorno – per queste imprese, che stanno attraversando la crisi più lunga e persistente della storia moderna. Anni in cui ho avuto notizie di alcune di queste aziende che hanno poi interrotto la loro attività lasciando morire, loro malgrado, tutto quel “saper fare” che si tramandava da generazioni, e questo prima della pandemia Covid- 19, e ancora lo scorso anno ho raccolto diverse testimonianze accorate di PMI in difficoltà. In questi 12 anni il mercato è cambiato radicalmente, non solo per le caratteristiche di imprevedibilità che ha assunto, ma anche per la forte in- novazione tecnologica dei processi e dei prodotti e i nuovi paradigmi costruttivi legati al risparmio energetico: quindi ci troviamo di fronte a un settore in costante fermento che deve aggiornarsi continuamente e velocemente! «Deve aggiornarsi sì, non è possibile competere sul mercato con i prezzi se una macchina con un operatore fabbrica elementi che sono solo da assemblare e il vecchio metodo ci mette il triplo del tempo e richiede il presidio di più operatori, impossibile anche fabbricare un “minimale” senza le tecnologie adatte – mi rispondeva un falegname che aggiungeva – adesso poi il serramentista è molto più specializzato, e questo è un valore aggiunto che dobbiamo essere in grado di far capire e di farci pagare, ma è molto difficile trasmetterlo. Invece è proprio questa la chiave di lettura degli anni futuri. Insomma, a un certo punto chi sarà specializzato nella produzione avrà un’industria di una certa dimensione, invece chi vorrà essere artigiano dovrà dare una consulenza completa, saper consigliare un materiale con le giuste caratteristiche e dare il servizio a contorno del prodotto in qualità di ditta affidabile rintracciabile nel tempo.» Questo è uno stralcio di un’intervista dell’anno scorso che delinea i cambiamenti in atto negli ultimi anni e la difficoltà di recepirli, a prescindere dalla crisi e anche dalla pandemia che certo rendono più arido il terreno, legati agli aggiornamenti richiesti a tutti i livelli e all’incapacità di alcune aziende di conformarsi alle richieste del mercato e di stare al passo con i suoi cambiamenti continui e repentini. In occasione di alcuni convegni mi è capitato spesso di ascoltare dalla platea voci adirate che imploravano una qualche rappresentanza per i loro settori; credo ci sia una grande discrasia fra queste realtà e gli apparati pubblici che a tutti i livelli dovrebbero rappresentarle. Forse questa distanza è incolmabile, però sono certa che la ricchezza del nostro Paese sia in tutte queste grandi e piccole realtà, per questo non mi capacito di questo grado di trascuratezza che fa l’eco a immensi poli industriali oggi vuoti e desolati, ma anche a molti piccoli splendidi borghi ormai spopolati sparsi lungo il nostro Stivale. Come misurare il valore di queste perdite e il senso di svuotamento dei loro contenitori?
Esiste solo il libro del tribunale che constata il fallimento di un’azienda? Oppure possiamo auspicare la creazione di una task force capace di valutare come e dove far confluire la parte sana di un organismo – quale è un’azienda – che sta annaspando o morendo, come fosse un monumento storico che ha impreziosito per un periodo il nostro Paese e di cui vale tentare un risanamento? Servirebbe una task force anche per rigenerare con criterio il nostro patrimonio architettonico, e immagino che questi gruppi di lavoro siano costituiti da esperti in determinate materie, ma in effetti allora non si capisce quali specializzazioni caratterizzino i tecnici della grande casa del Governo (quali competenze abbiano e quale valore portino). Certo lo Stato a una grande responsabilità rispetto l’impoverimento culturale rintracciabile a tutti i livelli che questa pandemia potrà solo acuire. Comunque, oggi ci troviamo di fronte a uno shock comune che colpisce il mondo intero. «Nelle evoluzioni delle previsioni, abbiamo visto che l’economia italiana sitrovava in una situazione di grande indebolimento congiunturale già nel primo trimestre 2020 con una crescita del PIL intorno allo zero. Dalle previsioni vediamo ora (2 aprile 2020 ndr-fonte delle previsioni: Now Casting Economics) l’economia italiana ridursi dell’1.5% nel secondo trimestre 2020. Se prendiamo in considerazione la Germania in riferimento allo stesso trimestre, l’andamento è lo stesso. Questo ci fa pensare che a risentirne non è solo l’Italia – afferma Lucrezia Reichlin, presidente Ortygia Business School (www.ortygiabs.org), docente di economia alla London Business School – quindi l’Europa non può andare in ordine sparso ma serve coordinare una risposta comune.» Sia nel nostro Sistema Paese e sia nell’ambito dell’Unione Europea, servirebbe potersi riferire a un unico vero referente che si assuma la responsabilità di una decisione, trovava in una situazione di grande indebolimento congiunturale già nel primo trimestre 2020 con una crescita del PIL intorno allo zero. Dalle previsioni vediamo ora ((2 aprile 2020 ndr-fonte delle previsioni: Now Casting Economics) l’economia italiana ridursi dell’1.5% nel secondo trimestre 2020. Se prendiamo in considerazione la Germania in riferimento allo stesso trimestre, l’andamento è lo stesso. Questo ci fa pensare che a risentirne non è solo l’Italia – afferma Lucrezia Reichlin, presidente Ortygia Business School (www.ortygiabs.org), docente di economia alla London Business School – quindi l’Europa non può andare in ordine sparso ma serve coordinare una risposta comune.» Sia nel nostro Sistema Paese e sia nell’ambito dell’Unione Europea, servirebbe potersi riferire a un unico vero referente che si assuma la responsabilità di una decisione, in modo da rendere affidabile quanto stabilito e quello che poi realmente viene messo in campo, così accade all’interno delle aziende. Bisognerebbe prenderle come esempio! Invece, passano i giorni ma lo scenario non sembra cambiato perché il nostro Paese non dimostra di essere resiliente, altrimenti le aziende sarebbero già ripartite tutte, alcune non si sarebbero mai fermate. Purtroppo molti imprenditori mi raccontano direttamente dalla loro voce di incredibili difficoltà burocratiche per riavviare la produzione, di lungaggini inutili per tornare operativi pur avendo ottemperato a tutte le disposizioni richieste, di rimbalzi da un referente all’altro per espletare questa o l’altra pratica.
In fondo, si tratta semplicemente di creare dei protocolli da seguire negli uffici, nei reparti produttivi, nella consegna e nel ritiro della merce e dei prodotti, e nelle modalità adottate da ognuno per raggiungere il luogo di lavoro.
Per le imprese di costruzione si tratta invece di riequilibra- re la sostenibilità finanziaria dell’appalto, i contratti devo- no consentire di dare garanzie mediante fidejussioni assi- curative (come negli altri mercati europei), in modo che le imprese non debbano fare da “banca” ai committenti per tutta la durata dei lavori, come afferma efficacemente Guglielmo Pelliccioli fondatore de “Il Quotidiano Immobiliare” nel suo editoriale (22 aprile 2020 ndr).
I professionisti, o almeno alcuni, “per rimanere in cantiere”, sono veramente furibondi, come un architetto che mi scrive «Sono tante belle parole e previsioni utopiche – quelle contenute nella I parte di questo Osservatorio, e continua ancora più furente –, che vadano a casa questi governanti incapaci, che tra l’altro nessuno ha scelto ne votato, e anche i progettisti della casta, inadeguati ma integrati al sistema per via dei favoritismi di cui godono! Mi riferisco a certi pseudo baroni della progettualità, con i loro nomi divenuti blasonati, che stanno devastando ancor più il nostro Paese, e anche l’estero, in virtù di appoggi politici e di appalti pilotati dai partiti! Basta con questo sistema di distruzione! Costruzione!!! Ci sono tanti bravi giovani preparati e vecchi maestri che hanno fatto sempre il loro lavoro nell’ombra. Lasciamo spazio a loro per ricostruire un’Italia migliore, che tenga conto, non tanto degli interessi di potere, ma delle reali necessità del sociale! So che queste mie rimostranze non approderanno a nulla, perché io, progettista anonimo, non politicizzato per scelta, non conto nulla, davanti alla sfera del Potere.»
Io ho iniziato il mio praticantato in un grande studio di Architetti associati, ho annusato per anni il sapore di quel luogo e nonostante disegnassimo ormai adottando i programmi di AutoCAD sui computer, c’erano lenzuola di carta sparse su tutti i tavoli, si appuntavano ancora gli errori a mano e poi si correggevano le tavole con i nuovi programmi digitali che ci permettevano di non ricominciare tutto da capo; e c’erano librerie piene di libri, polvere e cultura; c’era la meravigliosa sensazione di costruire qual- cosa – o meglio di concorrere a farlo –, fosse un oggetto, un arredo, una casa, un ospedale o una strada.
Tutti gli studi professionali sono fucine di creatività e pro- getti che poi prendono forma fra le strade e gli edifici che osserviamo passeggiando, sono il messaggio più potente e persistente scritto con i materiali del costruire e chi è parte di quel progetto ha responsabilità grandissime.
Per questo abbiamo aperto la II parte dell’Osservato- rio lasciando la parola a un architetto che in qualche modo acquista una sua forma di potere perché valorizza “quell’u- biquità operativa” che le tecnologie digitali consentono a tutte le professioni intellettuali, diventando, considerato il suo spirito eclettico, uno strumento di lavoro multidiscipli- nare veramente rivoluzionario!
Ci sono, infatti, attività che possono essere svolte da qual- siasi luogo grazie alle tecnologie attuali come ci ricorda il professor Davide Maria Giachino che da architetto con- divide con noi anche la proposta di un progetto concreto volto a preservare il consumo del suolo.
Accogliamo anche la breve riflessione di Simone Micheli, architetto pluripremiato che opera a livello internazionale. Pubblichiamo l’appello per la riaperture delle attività di alcuni comparti del commercio al dettaglio del presidente di Federmobili Mauro Mamoli, oltre a una sintetica re- stituzione del sociologo Domenico De Masi a proposito dello smart working.
E poi lasciamo la parola all’editore di Web and Magazine Pietro Giovanni Ferrari e a cinque imprenditori illumina- ti che rappresentano alcune di quelle aziende italiane che ci rendono fieri del nostro tricolore: il Presidente e AD di TWT Filippo Pellitteri, il direttore marketing di Working Process Paolo Perservati, il titolare di Finiture Giovanni Sedino, il titolare di Milano Bedding Roberto de Lo- renzo e il presidente di Uniform Franco Tenzon. Loro rispondono alle tre domande poste alla fine della prima parte, che riportiamo anche qui, mentre Franco Tenzon esprime un suo pensiero che individua le speranze e le opportunità legate a questo difficile momento.
Infine, chiudiamo con altri due contributi, quello preziosissimo del Professor Felice Ragazzo – attuale Presidente di Gruppo Qualità Legno – e quello molto pragmatico di Angelo Artale, Direttore Generale di FINCO, Federazione Industrie Prodotti Impianti Servizi e Opere Specialisti che per le Costruzioni e la Manutenzione che raggruppa 40 Associazioni e 13.000 imprese.
Le domande
- Che cosa si aspetta come azienda o studio professionale e cosa sarebbe indispensabile ottenere dal Paese per poter “riaccendere i motori” e poter lavorare con serenità? Qual è la sua analisi?
- Che cosa sarebbe utile a un’impresa, piccola o grande o un’attività in genere, a prescindere dal Covid- 19, per poter lavorare “senza affogare” nelle carte e nelle tasse? Quali sono le sue richieste?
- Quali riflessioni in qualità di manager, imprenditore o pro- fessionista, e prima ancora come persona, le ha portato questa pandemia? Considera questo cambiamento radicale delle cose un’occasione per creare un mondo migliore?
Le risposte Working Porcess
Le lunghe riflessioni di Paolo Perservati, in risposta alle tre domande propongono un orizzonte molto ampio (che segue nella successiva doppia pagina per le altre due risposte).
- In questi giorni, voci e firme autorevoli sono impegnate a dire e scrivere trattati sul tema della ripartenza. Si alzano cori indignati per i ritardi e le dimensioni dei sostegni economici sul criterio e la ripartizione delle risorse stanziate, su chi e come ne potrà beneficiare. Una dinamica che rischia di penalizzare il Sistema Italia creando insicurezza e disorientamento. A oggi contiamo oltre 24.000 decessi (21aprile 2020 ndr) ai quali dobbiamo rispetto, risposte e program- mazione guidati da un profondo senso di responsabilità sociale e civile. Il virus non ci abbandonerà almeno per i prossimi mesi, dovremo adattarci “noi a lui”, facendo nostre regole e abitudini di distanziamento sociale, di prevenzione, di controllo. Dovremo ripartire da una crisi senza precedenti, diversa nella sua connotazione da tutte le precedenti dell’era contemporanea, non una crisi solo economico – finanziaria come quella del 1929, del 1973 o del 2008. La pandemia Covid-19 ha messo in risalto come nell’economia moderna, le istituzioni, gli stati o meglio le unioni di stati come la Comunità Europea, debbano rappresentare il generatore di continuità in grado di mantenere la macchina in marcia con i fari accesi nei periodi bui come quello che stiamo vivendo, grazie a politiche premianti per la sanità, l’istruzione, la ricerca, sviluppate in termini di innovazione e qualità della vita. L’Italia, per il numero maggiore dei casi di coronavirus, come e più degli altri stati europei non può ripartire da sola, servono misure nazionali ma soprattutto europee per investire in infrastrutture, fondi anti- disoccupazione, MES con condizioni derogabili, Coronabond o quant’altro che permetta una maggiore integrazione monetaria, finanziaria, sanitaria, fiscale, commerciale, tra i vari stati membri. Le procedure dello stato sono vittime di un apparato burocratico complesso e macchinoso, figlio della nos- tra Storia, senza attenzioni da parte delle amministrazioni poco inclini a creare davvero un sistema Paese efficiente, fruibile in modo semplice per ogni cittadino. Lo stato da solo, non ha la capacità amministrativa per gestire nel breve un’emergenza nazionale di queste dimensioni, soprattutto per quanto riguarda temi come quello economico – sociale.
- È necessario un intervento autorevole e determinato da parte del sistema bancario, con investimenti basati su garanzie destinate al credito, con procedure rapide di erogazione di liquidità, con rimborsi spalmati su un periodo molto lungo. Le pubbliche amministrazioni non sono allineate con lo standard tecnologico delle aziende private, devono ora più che mai forzare il processo di digitalizzazione, iniziare un processo di ammodernamento che consentirà nel momento in cui si uscirà dall’emergenza di fare ripartire i grandi cantieri e i lavori pubblici. Le date per la ripartenza non devono essere dettate da speranze provvidenziali, servono strategie attente e graduali, vanno pianificati in modo chiaro gli step per la ripresa di ogni settore produttivo, le filiere necessitano di tempi lunghi per sincronizzarsi e riaprire senza avere il proprio comparto di appartenenza non al-lineato con le procedure post Covid- 19, non esserlo rallenterebbe ulteriormente la ripresa, non garantirebbe quella forza e lucidità necessaria a ognuno di noi. Culturalmente dobbiamo sforzarci di sposare percorsi di prevenzione, materialmente dobbiamo poter contare sulla disponibilità certa di tutti i presidi di salvaguardia per i lavoratori, indirizzati a garantire lo svolgersi delle attività lavorative nella massima sicurezza. Serve molto altro ancora ma alla base della ripartenza deve esserci una presa di coscienza in tutti noi, la consapevolezza che si aprirà un nuovo ciclo di relazioni personali, istituzionali, in cui ci si muoverà meno tra i luoghi ma con maggior attenzione sui problemi da risolvere. Servirà un elevato uso della tecnologia digitale per migliorare sicurezza, qualità della vita e aumentare la produttività del lavoro soprattutto quello della pubblica amministrazione, in particolare in ambito sanitario; un cambiamento anche culturale che deve prepararci stabilmente a eventi come l’attuale pandemia, con strutture sanitarie adeguate in maniera omogenea a livello continentale con ricorso sempre più diffuso alla telemedicina e una maggiore digitalizzazione dei processi amministrativi. Modelli di business più sostenibili e circolari a livello ambientale, sociale, territoriale, basato sull’utilizzo efficiente delle risorse naturali, come pure per la gestione delle grandi aree urbane anch’esse orientate alle smart city circolari. Una nuova relazione tra capitale economico e capitale naturale. Chiudere è stato facile …riaprire no! Noi intanto abbiamo riaperto con il dipartimento Service, interventi&ricambi e stiamo aspettando il benestare della prefettura per ripartire anche con la produzione a ranghi ridottissimi e come giusto con tutte le prevenzioni del caso.
- Tutta Italia, per regione, provincia, paese si sta chiedendo come ripartire, un grande interrogativo. “Non si tratta solo di capire come dare impulso all’economia, la nostra storia ci ricorda che sappiamo farlo”, come ha rimarcato Muhammad Yunus, citato alla fine della prima parte di questo Osservatorio, al quale anch’io senza ancora averlo letto mi sono molto ispirato per quest’ultima riflessione. Quindi, le vere domande sono: Ci andava bene il mondo prima del Covid- 19? Riportiamo tutto come era prima o provia- mo a ridisegnare gli schemi di gioco? Come sempre le grandi crisi contengono immense opportunità, se prima del Coronavirus il mondo non ci andava bene e da ogni parte si levavano cori di allarmi sulle terribili calamità climatiche, sulla disoccupazi- one che l’intelligenza artificiale avrebbe generato, sul fatto che la grande ricchezza si sarebbe spostata in mano a pochi e così via, perché non provare a cambiare le cose proprio ora? La decisione è solo nelle nostre mani, serve coraggio. Abbiamo forse una libertà di scelta che prima d’ora non ci era mai stata concessa, possiamo scegliere in quale direzione andare, intravediamo soluzioni temerarie che prima non volevamo vedere, forse non ne avevamo tempo e necessità. Dovremmo prima capire e decidere che tipo di economia e mondo vorremmo avere, e se veramente voglia- mo un sistema economico e sociale sostenibile, dobbiamo progettarlo prima, non possiamo interpretarlo a giochi fatti, dobbiamo costruire un nuovo hardware e riconfigurare un nuovo software. Perché ciò avvenga, non serve un pensiero singolo, serve il pensiero di molti, di tutti, è necessaria soprattutto una chiarezza e univocità di programmi governativi, che proclamino con tono autorevole che questa ripresa sarà diversa e i processi decisionali politico – economici saranno dettati da una nuova consapevolezza sociale e ambientale. Per consentire una ripartenza che richiede liquidità immediata, verranno applicati decreti salva stati più o meno efficaci, terapie d’urto proposte tra un tumulto di bagarre politiche volte a indirizzare gli interventi in una determinata direzione, tentativi di deragliamento asserendo che sono iniziative mai collaudate. Questo periodo ha stimolato i nostri pensieri, abbiamo riscoperto forse un nuovo senso di comunità, di soli- darietà, ci siamo accorti che da soli non possiamo sconfiggere il virus, abbiamo bisogno gli uni degli altri, serve coordinamento e cooperazione globale, una scoperta per i nostri tempi a suo modo rivoluzionaria. Questa pandemia lascerà il segno non solo sulla salute e sull’economia, cambierà soprattutto la nostra so- cialità, riassegnerà una nuova scala di valori nelle persone, nei consumatori che le aziende dovranno saper cogliere e a cui dovranno aderire. In questi mesi abbiamo agito per una ragione più importante del profitto, la solidarietà umana a difesa della salute; questo pone le basi per modelli aziendali guidati da uno scopo e per le aziende questo scopo potrebbe essere la sostenibilità ambientale e sociale, peraltro valori sempre più condivisi tra le fasce più giovani dei consumatori ancor prima della diffusione del virus, orientati a scegliere marchi di prodotti da aziende con business sostenibili. Covid- 19 sarà un acceleratore di questa tendenza che si diffonderà in ogni settore dell’economia. Un cambiamento radicale verso un’economia guidata dal valore della sostenibilità impone alle aziende di assumersi la responsabilità non solo dei costi legati alla produzione dei propri prodotti, ma di garantire ogni passaggio della propria filiera di appartenenza, controllarla, certificarla per evitare di avere catene di forniture lunghissime e disseminate geograficamente, per privilegiare una supply chain corta e meno glo- balizzata che garantisca flessibilità e avere responsabilità sulla sostenibilità ambientale e sociale. Avere delle supply chain più corte, renderà le aziende più reattive a situazioni inaspettate, avranno un miglior controllo, saranno più resilienti che in passato e probabilmente avranno vantaggi in termini di prestazioni operative.